COP23 delle Fiji. “Siamo tutti sulla stessa canoa”

Dal 6 al 18 novembre 2017 si è tenuta la XXIII Conferenza delle Parti (COP23) dell’UNFCCC, cioè l’assemblea annuale internazionale che annualmente discute le problematiche attorno ai cambiamenti climatici. A seguito dello storico Accordo di Parigi stipulato nel 2015 in conclusione della COP21 e dopo i primi passi fatti alla COP22 di Marrakech, alla quale i delegati ONU sono arrivati già in possesso dei requisiti per dichiarare l’Accordo di Parigi in vigore, quella del 2017 doveva essere la COP del passaggio dalle promesse ai fatti con l’approvazione dei “decreti attuativi” dell’Accordi di Parigi, ma per il momento ci si è fermati al dialogo.

La conferenza è stata rinominata la “COP del Pacifico” in quanto è stata la prima ad essere presieduta da uno Stato insulare di piccole dimensioni. Infatti, nonostante si sia svolta in Germania a Bonn (città sede dell’UNFCCC) per ovvi problemi di logistica, la COP23 è stata presieduta dallo Stato delle isole Fiji. La scelta ha dato così la possibilità di mettere in risalto durante questa sessione plenaria le difficili problematiche che legano il futuro delle Nazioni insulari al cambiamento climatico, causato al 95,5% dai territori continentali. Come monito e affermazione di tale preoccupazione basti solo pensare che nel 2016 un ciclone causò 50.000 sfollati tra la popolazione delle Fiji, mentre nel 2017 sono stati devastati i Caraibi, oltre alle inondazioni dell’Asia meridionale e le ondate di calore estreme in Africa orientale. “La frequenza e l’intensità dei fenomeni naturali sono sempre più allarmanti: uragani, alluvioni, incendi hanno causato e continueranno a causare molta sofferenza a persone innocenti” ha commentato il primo ministro delle Fiji e Presidente della COP23, Frank Bainimarama, durante il discorso di apertura, richiamando a tematiche di solidarietà e di unione di intenti per il pianeta e la sua intera popolazione.

Plenaria finale della Cop 23 di Bonn, 2017. Antonio Guterres, segretario generale delle Nazioni Unite, Frank Bainimarama, primo ministro delle isole Fiji e presidente della COP23, il presidente tedesco Frank-Walter Steinmeier e la segretaria dell’UNFCCC Patricia Espinosa Cantellano © Lukas Schulze/Getty Images

La “COP del Pacifico” ha quindi visto protagonisti molti piccoli Stati insulari nella presentazione delle loro misure di adattamento e prevenzione dei rischi dovuti al cambiamento climatico, incentrando l’attenzione su sostenibilità agricola e gestione delle scarse risorse idriche. Si evidenzia soprattutto come queste azioni dipenderanno soprattutto da finanziamenti esterni (come esterne sono però le cause che richiedono ora tali interventi) e sarà quindi necessario da parte delle delegazioni lavorare ad un piano di finanziamenti adeguato, comunque previsto dall’Accordo di Parigi. “Siamo tutti sulla stessa canoa”, così ha parafrasato più volte il Presidente Bainimarama, incentrandosi sul tema delle Comunità Locali e dei Popoli Indigeni. “Quindi, distinti delegati, rimaniamo in corsa e raggiungiamo la nostra destinazione”.

Quali sono stati quindi i risultati raggiunti durante questa assemblea plenaria? Una parte del negoziato ha riguardato il processo di revisione dei Contributi Nazionali Volontari dei Paesi (Nationally Determined Contributions – NDCs) facenti parte dell’Accordo. Questi al momento nel loro complesso non risultano abbastanza decisivi per raggiungere l’obiettivo al 2030 di non oltrepasso dei 2°C rispetto alle temperature medie globali pre-industriali. È arrivato quindi il momento per i delegati di puntare più in alto, alzando il livello di ambizione dei singoli contributi attraverso la definizione di una linea guida comune. Il dibattito ha portato ad una divergenza di opinioni dei negoziatori, tra coloro che vorrebbero una differenziazione nelle caratteristiche delle linee guida tra Nazioni o perlomeno tra Paesi Sviluppati e Paesi in Via di Sviluppo, e chi invece ritiene che queste debbano essere uguali per tutti. La conclusione in questo ambito, per il momento, è stato l’avvio del Talanoa Dialogue, concetto che deriva dalla tradizione politica fijiana (e che significa letteralmente “parlare con il cuore”) con un orientamento equo che porti ad una maggiore comprensione comune. Lo scopo è quello di aumentare le ambizioni dei Paesi per la riduzione del gas climalteranti che prevede una fase preparatoria e una fase politica durante il 2018 in vista della prossima Conferenza delle Parti a Katowice, in Polonia.

Oltre a questo, vi sono altri 4 importanti risultati usciti dalla COP23:

  • Azioni pre-2020: riguarda la seconda e conclusiva fase del Protocollo di Kyoto (in atto dal 2013 fino al 2020) sugli impegni nazionali nella riduzione delle emissioni, incrementando la mobilitazione di finanziamenti internazionali fino a 100 miliardi di dollari all’anno e impegnandosi a limitare il picco di gas serra a prima del 2020. Tali azioni saranno oggetto di rendicontazione a partire dal 2018;
  • Gender Action Plan: è stato approvato il Piano d’Azione per l’Inclusione di Genere, un programma permanente che mira a garantire pari rappresentanza a donne e uomini all’interno dell’UNFCCC e il rispetto e la leva delle donne nelle azioni di mitigazione ed adattamento;
  • Azioni delle comunità locali: è stata formalizzata la piattaforma delle Comunità Locali e dei Popoli Indigeni (Local Communities and Indigneous People Platform – LCIP) con lo scopo di promuovere la conoscenza e le esperienze di questi popoli e comunità, e aumentare la loro partecipazione all’interno delle negoziazioni in ambito ambientale. È la prima volta nella storia dell’umanità che viene preso in considerazione per davvero anche quella parte di mondo lontano dalle (il)logiche consumistiche ed economiche industriali, riconoscendo in loro un prezioso legame con la Terra da tempo perduto dall’uomo moderno;
  • Finanza: è stato il punto più dibattuto. Per quanto riguarda l’Adaptation Found e il meccanismo di compensazione del Loss and Damage (L&D), è stata aperta la strada a nuove consultazioni per trovare un punto d’incontro tra Paesi Industrializzati e in Via di Sviluppo. Sebbene questa COP sia stata cruciale per la definizione delle regole dei principali tavoli negoziali, non tutte le Parti sono soddisfatte dei risultati e sperano in un maggiore impegno da qui alla COP24 a Katowice. Nel corso della plenaria finale diversi gruppi di Paesi in Via di Sviluppo si sono espressi in favore di maggiori impegni da parte del “Primo Mondo”. Il gruppo BASIC (Brasile, Sudafrica, Cina e India) è stato il più critico sul tema della finanza, accusando i Paesi Industrializzati di imporre unilateralmente le proprie condizioni e ricordando che i Paesi del Gruppo stanno facendo più di quanto richiesto dalle loro responsabilità storiche.

Grandi progressi sono stati inoltre raggiunti sui temi legati all’agricoltura, fortemente voluti dai Paesi in Via di Sviluppo e accolti positivamente anche dalla FAO, la quale si è proposta come partner esperto nell’inclusione dell’agricoltura nei Piani Nazionali di Adattamento. Due temi non hanno trovato una conclusione in questa sessione e saranno quindi discussi durante il 2018: le modalità di reporting dei Paesi Sviluppati per quanto riguarda la finanza climatica e le azioni di mitigazione nel settore forestale da parte dei Paesi in Via di Sviluppo.

 

Ma a catturare maggiormente l’attenzione quest’anno, sono stati i padiglioni allestiti dalla Società Civile, dalle Organizzazioni Non Governative (ONG) e dalle startup, grazie al loro ben più alto entusiasmo rispetto ai tavoli negoziali.

Sicuramente gli occhi erano puntati sulla delegazione degli Stati Uniti che, dopo le controverse dichiarazioni del Presidente Trump, vede la Nazione come uscente dall’Accordo sul Clima ma che formalmente non ne potrà uscire prima del 2020, anno in cui ci saranno le prossime elezioni presidenziali. Ciononostante, la società civile americana era presente alla Conferenza tramite la piattaforma #wearestillin presenziata da Jerry Brown, governatore della California. In più di 2500 leader politici statunitensi tra governatori, sindaci, rettori universitari, capi di aziende e anche comunità religiose hanno dichiarato di volersi impegnare per rispettare gli obiettivi dell’Accordo di Parigi. In contrapposizione alla presa di posizione del governo federale, anche l’intervento di Al Gore è stato acclamato e fiducioso. Nonostante gli eventi estremi si presentino con frequenza sempre maggiore assumendo una dimensione di “nuova normalità”, l’ex vicepresidente americano ha focalizzato una parte del suo intervento sui risultati ottenuti grazie ad una rivoluzione green, ovvero l’incremento degli investimenti nelle rinnovabili e la quantità di energia pulita prodotta in aumento. Gore ha concluso il suo discorso sottolineando come ogni grande cambiamento della storia abbia trovato forti opposizioni iniziali, senza che ciò impedisse il suo successo finale.

Sulla stessa linea d’onda positiva, Christiana Figueres, Ex Segretario Esecutivo dell’UNFCCC, è intervenuta con una analisi sulla mobilità sostenibile, dichiarando come sia in atto una transizione storica di dematerializzazione che ha prima coinvolto settori di consumo come la musica e l’informazione ed ora anche il settore automobilistico. “I veicoli sono sempre meno prodotto di consumo e sempre più di servizio”. Elettrificazione, car sharing ed auto a guida autonoma hanno iniziato una nuova transizione nel campo dei trasporti; trend che viene seguito anche dal mercato azionistico con l’ascesa delle azioni della Tesla. Certo, costo e autonomia sono i principali ostacoli alla diffusione globale ma la tendenza generale delle principali città del mondo – nonostante l’Italia – è quella di vietare entro i prossimi 30 anni la circolazione di auto a benzina e diesel.

Un argomento di crescente importanza e innovazione tecnologica ha riguardato i sistemi di stoccaggio e sequestro della CO2 dall’atmosfera in modo attivo. Dati i crescenti effetti negativi del sequestro naturale di anidride carbonica da parte degli oceani, come l’aumento di acidificazione delle acque che potrà causare la morte delle barriere coralline e il conseguente sconvolgimento del ciclo di vita marina, i sistemi di Carbon Capture and Storage (CCS) stanno acquisendo un ruolo crescente nel dialogo sulla mitigazione del cambiamento climatico. L’università di Trinidad y Tobago (Stato delle isole dei Caraibi) propone l’utilizzo dei giacimenti esausti di idrocarburi come serbatoi di carbonio, mentre la città di Oslo spiega come effettuano il sequestro di CO2 durante la fase di incenerimento dei rifiuti per la produzione di energia elettrica, poi stoccati nei giacimenti petroliferi del Mare del Nord. Una startup di Taiwan ha brevettato un metodo di pavimentazione stradale in grado di sequestrare gas serra e inquinanti, oltre ad essere utile nella prevenzione di inondazioni con effetti positivi sulla gestione delle acque e sul mantenimento degli ecosistemi del sottosuolo, grazie ad un sistema non eccessivamente permeabilizzante.

Interessante anche l’intervento di Arnold Schwarzenegger, ex governatore della California, che auspica ad una diversa modalità di comunicazione dei problemi del cambiamento climatico, affermando che alle persone non interessa discutere sull’aumento delle temperature o dell’innalzamento del livello dei mari in quanto poco percettibili se non tramite ondate anomale, invece si preoccupano e si interessano quando sentono parlare di cancro, malattie e morti causate dal cambiamento climatico. La proposta di Schwarzenegger rivolta ai rappresentati della WHO (l’Organizzazione Mondiale della Sanità – World Health Organization) è quella di etichettare i combustibili fossili per rendere i consumatori consapevoli dei rischi che si corrono con il loro utilizzo, così come avvenne per il tabacco nel 2003 (che oggi si riflette, per esempio, nelle varie sfaccettature di “il fumo uccide” sui pacchetti di sigarette).

Come sempre accade, a conclusione della Conferenza delle Parti di quest’anno, le osservazioni di giornalisti ed esperti del settore, come dell’opinione pubblica interessata, si divide tra “parziale successo” e “totale fallimento”, in quanto il bicchiere mezzo pieno è difficile da vedere. Sicuramente poteva essere fatto di più e tendenzialmente si è rischiato di fare passi indietro e nessuna nuova azione decisiva, mentre ha pervaso una sostanziale volontà di tergiversare il più possibile fino al 2020, anno in cui l’Accordo di Parigi sarà operativo. Per il momento il nuovo appuntamento sarà in Polonia con la COP24 a Katowice. Il 12 dicembre però il Presidente francese Macron ha indetto una riunione a Parigi con un centinaio di Paesi, Stati Uniti esclusi, per discutere sui temi finanziari non raggiunti durante questa sessione plenaria e arrivare pronti al 2018, non più per una COP tecnica ma per una COP d’azione.

 

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